"La Majella"
La Majella, la nostra montagna madre
(Leggenda ed origine del nome)
"La Dea Maja venne dalla Frigia per salvare il Gigante suo figlio, ferito a morte ed inseguito dai nemici. Approdando dal mare, Maja cercava l'erba miracolosa che nasce sulle pendici della montagna bianca. Ma il gelo aveva essiccato ogni stelo, ogni fiore. Gigante morì, ed essa lo seppellì in cima al Gran Sasso.
Quando la primavera inondò di luce le pietraie e le chine rupestri, l'erba taumaturgica rifiorì e Maja presa dalla collera e trafitta dal dolore estirpò ogni filo d'erba e si gettò dalla più alta vetta della montagna che, in suo onore, venne chiamata Majella"
"Maja oggi singhiozza ancora, e non si consola! I pastori, tra gli stazzi, odono ancora i suoi lamenti nelle giornate di vento e di bufera, quando i boschi e le valli riproducono la voce triste di una Madre in lacrime".
"Goddess Maja came from Phrygia to save her son The Giant, wounded to death and chased by his enemies. After landing from the sea, she was looking for the miraculous plant growing on the slopes of the white mountain. But the frost had dried every stem, every flower. The Giant died, and Maja buried him on top of Gran Sasso.
When spring enlightened the rocky slopes, the miracolous plant grew again and Maja filled with anger and sorrowful uprooted every blade of grass and trew herself from the highest peak of the mountain which in her honour was called Majella"
"Maja today sobbing again, and not comforted! The shepherds, among the huts, still hear her cries in the days of wind and storm, when the woods and valleys reproduce the sad voice of a mother in tears".
Nei giorni chiari, quando il vento ha esaurito il suo viaggio, la Majella appare all'improvviso, sorprendendo anche chi è a pochi metri dal mare. Azzurrina nel suo profilo levigato dei tramonti estivi. Le sue pendici, in ottobre, coperte dalle foglie degli alberi vicine a cadere, sfumanti delle più belle tinte dell'iride. Più rotonda e materna quando, d'inverno, riflette la luce del sole. La Majella, femminile nel nome, è femminile in tutti i suoi volti.
E tra le sue imponenti vette, le sue alte pareti rocciose, le gole, i suoi "quarti" sconfinati, i suoi boschi fitti e silenziosi, ci si può sentire davvero tanto piccoli, quasi abbracciati dall'immensità di una montagna compatta, che si mostra con le fattezze di un'enorme balena arenata, di una donna gigantesca che riposa tra le sue rocce.
"Montagna Madre" come in Abruzzo tutti la conoscono, essa è piena in ogni sua parte, dei segni della presenza umana dai tempi più antichi. Luogo privilegiato di ritualità, di rifugi per officiare culti e cerimonie religiose, la Majella ha da sempre suscitato la ricerca del contatto con la divinità. La presenza di grotte sacre, di chiesette, di eremi, hanno reso la Montagna Madre, un luogo denso di riti spirituali di meditazione. Majella sacra dunque, da sempre!
La "Grotta dei Piccioni" e la "Grotta del Colle", dedicati al culto prima di Ercole, poi di San Michele. La "Grotta Sant'Angelo", anticamente sede del culto della Madre. Gli eremi di San Giovanni, di San Bartolomeo, di Santo Spirito. Dai sacrifici umani propiziatori, al mito di Ercole, ai santi martiri, i luoghi della Majella sono stati sempre profondamente segnati dalla faticosa ricerca di Dio.
Nella notte dei tempi si perde l'origine di questo forte senso di spiritualità, di questo desiderio estremo di ricongiungersi al divino, di questo sentimento degli Abruzzesi che si rivela nella pietà per la dolorosa vicenda che la lega alla Dea Maja, la maggiore delle Pleiadi, considerate ninfe celesti e dei monti.
Racconta la leggenda che Maja, donna gigantesca, fuggita dalla Frigia, per portare in salvo il suo unico figlio Ermes, il più bello dei Titani, caduto in battaglia sul campo di Flegra, approdò, con una nave malandata, al porto di Ortona.
Di qui, si rifugiò tra le selve e i dirupi delle montagne d'Abruzzo per il timore di essere raggiunta dai nemici e, soprattutto, per curare amorevolmente il suo unico figlio. La montagna era, infatti, ricca di erbe speciali, medicamentose; ma la neve la ricopriva integralmente, ed ogni suo tentativo fu inutile. Maja non riuscì a curare il suo amato figlio che poco dopo morì. Sconvolta dal dolore, lo seppellì sul Gran Sasso, dove ancora oggi, chi osserva da levante, può riconoscere il "Gigante che dorme". Poi vagò a lungo per le montagne in preda all'angoscia e scossa da un pianto irrefrenabile. Affranta e prostrata, esalò l'ultimo respiro proprio sulla montagna che porta il suo nome, la Majella, dove venne sepolta adornata delle vesti più ricche, di vasi di prezioso metallo, e soprattutto di fiori e di erbe aromatiche.
La montagna, la Majella, prese così la forma di una donna impietrita dal dolore, con lo sguardo fisso al mare, i gomiti tra le ginocchia, e la testa avvolta in funebri bende tra le mani. Maja oggi singhiozza ancora , e non si consola! I pastori, tra gli stazzi, odono ancora i suoi lamenti nelle giornate di vento e di bufera, quando i boschi e le valli riproducono la voce triste di una Madre in lacrime.
Questa la leggenda. Ma per le genti d'Abruzzo la Majella è la Madre, la personificazione della crescita delle cose viventi, della fertilità della terra, e quindi della Terra medesima. Essa è diventata il simbolo della terra d'Abruzzo, il riferimento arcaico e religioso delle nostre genti, che in questa montagna hanno riconosciuto spontaneamente, l'innocenza di un desiderio comune di ricercare la propria divinità, di ritrovare quel legame che unisce ognuno di noi all'Assoluto. A Lei l'omaggio di una danza di gioia e di amore.